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Il comportamento del cavallo

Tutti noi siamo abituati a vedere i cavalli come animali addestrati a compiere vari tipi di azione: ci sono cavalli da tiro, cavalli da corsa, cavalli da trotto, cavalli che sono in grado di compiere movimenti molto precisi…

Vi siete mai chiesti come mai i cavalli sono stati addomesticati mentre invece, ad esempio, le tigri (che corrono velocissime, sono forti e grandi e si potrebbero anche cavalcare teoricamente) invece no?

La risposta si trova nella natura stessa del cavallo. Il cavallo, a differenza della mammiferi/tigre.php">tigre, è una preda, e proprio da questo presupposto si parte per capire il suo comportamento e modo di vivere, ma anche come possiamo relazionarci con lui.

Il suo corpo, per prima cosa, è un corpo fatto per scappare. Difficilmente un cavallo morde o scalcia per allontanare una preda, mentre molto più frequentemente sfrutta le sue lunghe zampe per allontanarsi a tutta velocità.

Inoltre un cavallo dorme pochissime ore al giorno, perché deve essere sempre vigile e fare attenzione all’arrivo dei predatori per scappare, ed ha una vista non tridimensionale (come la nostra) ma molto più ampia (i due occhi vedono in pratica due cose diverse e un cavallo quasi non ha la percezione della profondità), in quanto deve poter vedere con una sola occhiata tutto ciò che lo circonda.

Del resto, gli equini non hanno praticamente mai problemi di cibo: resistentissimi al freddo, in natura mangiano erba che trovano in qualsiasi stagione, quindi hanno la possibilità di mangiare praticamente ovunque si trovano.

Tuttavia, un cavallo solitario sopravvivrebbe ben poco in natura. I predatori di solito cacciano in branco (pensiamo ai lupi) e circondare un cavallo che è da solo sarebbe molto semplice e gli lascerebbe ben poche vie di scampo.

Per questo gli equini, proprio come i bovini o le pecore, si organizzano in branchi. Il branco del cavallo è generalmente composto da uno stallone che è il capobranco, una serie di cavalle e i loro puledri.

Ovunque ci sia un’organizzazione sociale, con un branco, prima o poi emerge un leader, che prende le decisioni nei momenti di necessità. Questo leader è, appunto, lo stallone, che ha il preciso compito di proteggere il branco spaventando gli aggressori.

Protegge in questo modo le femmine e i puledri, che vengono poi allontanati quando iniziano a diventare grandi e potrebbero mettere in discussione il ruolo del capo.

A partire da queste informazioni si può capire come un uomo possa “intromettersi” in questo sistema naturale e prenderne parte, creando un rapporto di fiducia con un cavallo.

Per prima cosa, il cavallo è geneticamente predisposto a far parte di un branco, e questo significa che una volta compreso che l’uomo non è un predatore ma un suo alleato è incline ad accettarlo nel suo “branco”. Questo non sarebbe possibile, ad esempio, con un serpente, animale solitario che non è “fatto” per accettare il branco e, infatti, semplicemente non può essere addomesticato.

Ovviamente è importante, specie se il cavallo non ci conosce, girargli intorno con movimenti lenti e calmi. Correre accanto a lui, ad esempio (è successo a chi scrive) significa fargli credere che vogliamo catturarlo, e lui reagirà istintivamente, calciando o rampando.

Una volta accettato l’essere umano, questo deve diventare il suo capobranco: anche in questo caso, il cavallo è naturalmente incline ad accettarlo, perché geneticamente è abituato alla figura del capobranco. Mostrandosi deciso, quindi, un proprietario o un’allevatore potrà condurre il cavallo e fargli fare più o meno quello che vuole, in relazione alle capacità dell’animale.

Forse è difficile da credere, ma cavalcare un animale è una delle operazioni che richiede maggior fiducia da parte sua: significa non solo che l’animale ha compreso che noi siamo il capobranco, ma significa anche che mette praticamente “la sua vita nelle nostre mani”.

Vi ricordate quando, poco fa, avevamo parlato di vista del cavallo? Un equino con una sola occhiata può vedere tutto ciò che lo circonda, perché ha gli occhi molto laterali, tranne che la propria schiena, che è per lui un “punto cieco”.

E l’uomo, così, diventa il secondo paio di occhi per un cavallo che, fidandosi come un membro del branco del proprio cavaliere, può essere indotto per quello che lui crede, sempre, essere il bene del branco (quindi anche il suo) a svolgere qualunque tipo di attività vogliamo.

Articolo a cura del Dott. Valerio Guiggi